Jacopo Dalmastri Giugni

Note biografiche

 

Nato a Bologna nel 1963.
Frequenta l'Istituto statale di Arte a Forlì, in seguito alla Accademia di Belle Arti di Bologna, seguito nel corso di

incisione sotto la guida del maestro Luciano De Vita conseguendo i Diplomi nei corsi di Decorazione e Pittura.

Abita a Livergnano (Bologna) in via Nazionale 270, tel 347 2842021. Lavora alle Officine Tanaka. 

Segrete Acque dentro l'argine.
Le opere pittoriche di Jacopo Dalmastri Giugni rivelano l'intensa emozione suscitata dalla natura nell'animo dell'autore.

La sua tematica esclusivamente naturalistica si estrinseca in tele di estrema essenzialità in cui Dalmastri esprime sensazioni in

un linguaggio personale, raffinato e colto, particolarmente marcato dalla scelta  e la delicata distribuzione cromatica che riesce

a evocare le più sottili sfumature, le “nuances” più soffuse fino all'estrema indefinitezza. Una tale pittura, dalla composizione

meditata e sempre equilibrata, avvince per gli effetti suggestivi che la  connotano. Immerge l'osservatore in stati d'animo rapiti

da distese d' acqua impalpabili fuse a cieli speculari presentati da un'inquadratura vegetale sovente asimmetrica, il tutto in una

armoniosa sinfonia di verde, da quello cupo al verde-giallo o dorato pallidissimo. Così, il pittore eccelle nel suggerire brume,

albe, con entusiasmanti effetti di perlata luce bianca che avvolge rovi e alberi; oppure nel far sentire la presenza della pioggia

con delicate percolature esili come fossero steli di alberi diretti al cielo; eccelle pure nell'evocare il silenzio mediante un'apparente

immobilità ottenuta anche con un sobrio contegno strutturale. L'artista, nella sua rappresentazione del mondo naturale, giunge

a smaterializzarlo, riuscendo a renderne l'intima leggerezza, le poetiche trasparenze l'armonia più profonda.
Odette Gelosi

L'Eden ritrovato

Per osservavare un'opera d'arte occorre aprire gli occhi. Ma per compredela bisogna chiuderli.

Alessandro Morandotti

 

Che Jacopo Dalmastri Giugni sia artista colto oltrechè raffinato si evince immediatamente guardando anche una sola delle

sue opere, persino la più piccola. Le sue tele sono intrise della medesima predisposizione ad osservare non tanto il visibile,

quanto ciò che sta tra “il qui e l'altrove. I riferimenti puntuali alla più alta tradizione pittorica italiana e non solo, sono  evidenti

in ogni pennellata ma non sono pedissequa sudditanza nei confronti di chi l'ha preceduto quanto bagaglio,tesoro, lascito di

cui Jacopo si fa armonioso custode e druidico prosecutore.
I nomi che si possono fare sono tantissimi partendo dalla pittura veneta del Giorgione sino ad arrivare al diciannovesimo

secolo dove è impossibile non notare quanto Caspar David Friedrich abbia influenzato la poetica cristallina del nostro “pictor”.

Partendo quindi dal romanticismo per arrivare a Turner sono evidenti le tematiche che hanno via via arricchito l'impianto

pittorico di J.D.G. Riferendoci al secolo scorso credo che soprattutto Cy Twombly con le sue gocciolature, Hans Hartung con

il suo inconfondibile segno e l'insegnamento derivante dalla scuola americana dell'espressionismo astratto abbiano contribuito

a formare un tessuto connettivo, un “quid”, di cui Jacopo si è fatto carico facendolo diventare l'asse portante di tutta la sua

lirica pittorica.
Le opere di J.D.G. messe una accanto all'altra, quasi attaccate, sembrano far parte di un unico grande disegno che alberga

nella sua mente e che probabilmente non ha una fine e tantomeno un inizio. Tutto è collegabile, come se col pensiero e con

l'anima egli ripercorresse tutto il vissuto del mondo dall'alba dei tempi sino ai giorni nostri.

Spesso le sue vegetazioni sono considerate di pura fantasia , forse invece sono sedimenti della sua mente che vengono da

un'era preistorica dove i fusti degli alberi, sottili come giunchi, sembrano sfiorare il cielo. In questo la sua arte si può ricondurre

tranquillamente tanto al figurativo quanto all'informale. L'interpretazione è libera ed è negli occhi di chi guarda le sue opere

che pur essendo oggettivamente accattivanti, soggettivamente sono interpretabili in mille modi diversi.

Una sorta di misantropia latente si legge nei dipinti che lo porta a straniarsi dal mondo che lo circonda per frequentare i luoghi

del suo “altrove”. Infatti nei suoi quadri la figura umana non è presente e nemmeno quella animale che dovrebbe abitare i

luoghi da lui ritratti. E qui si svela la poetica essenziale di J.D.G.: il suo è L'Eden prima che fossero creati gli animali e prima

dell'avvento di Adamo ed Eva. Jacopo sembra un protocronista interessato a lasciare ai posteri le immagini di un paradiso

che è stato tale per pochissimo tempo e comunque prima dell'avvento dell'uomo.

E' un paradiso selvaggio il suo, senza fiori,senza frutti, incontaminato. E' un'incubatrice naturale dove si possono respirare il

profumo della torba e del sottobosco, veri e propri fertilizzanti al lavoro, in attesa che qualcosa di animato manifesti la propria

presenza. Ma questa attesa non rende ansioso Jacopo. Lui osserva, non ha fretta, è padrone del suo mondo

ideale-idealizzato,quasi metafisico, comunque tutto suo. Egli ci regala la possibilità di ammirare ciò che è parte-parto della

sua mente, del suo “altrove”. A noi non resta che cercare di capire, a volte chiudendo gli occhi, a volte lasciandoci soggiogare

dalle immagini. In ogni caso  abbiamo soltanto accesso al suo “qui”. Il resto è roba sua, una recondita armonia che alberga

nel suo cuore e nella sua anima. Una persona gentile Jacopo. Un uomo di altri tempi.  
Luca Schiavetti